Pubblicato il: 26 Marzo 2018
Lo stato del Private Equity in Italia e il suo impatto sull’innovazione delle aziende italiane.
Creare un ecosistema tutto italiano per finanziare l’innovazione. Solo così saremo competitivi.
Il mercato del private equity in Italia stenta a svilupparsi. C’entra forse il fatto che la maggior parte delle piccole aziende sono ancora a carattere familiare?
Rispetto ad altri paesi europei, il numero di operazioni in Italia non è mai cresciuto. Il numero di quelle italiane corrisponde al 20% di quelle in Francia, al 25% di quelle in Germania e Regno Unito e al 50% di quelle in Spagna. I motivi sono molteplici. Certamente la ricettività da parte delle imprese italiane è un tema da risolvere tramite l’aggregazione di imprese e una maggiore cultura della managerialità delle aziende. Ma non è l’unico motivo né il principale.
Come si possono convincere queste famiglie ad apririsi al private equity?
Sono le storie di successo che convincono investitori e aziende ad aprirsi a questa modalità di crescita delle imprese. E’ necessario quindi iniziare a creare cultura attorno al finanziamento in equity delle imprese da una parte e dall’altra informare sul fatto che non è sempre necessario cedere il controllo delle aziende, per esempio ricorrendo a formule come il private debt.
E’ vero poi che casse di previdenza, fondi pensione e assicurazioni italiane preferiscono investire all’estero piuttosto che in fondi di private equity tricolori? Perché questa preferenza?
Durante questa analisi abbiamo intervistato i principali operatori del settore e tutti concordano sul fatto che in Italia non mancano capitali da investire nelle nostre imprese. Casse di previdenza, fondi pensione e assicurazioni devono giustamente tutelarsi dal rischio attraverso un’attenta gestione dei fondi per conto dei propri aderenti. Tuttavia una parte dei fondi investiti è comunque già oggi destinata ad attività di finanziamento alle imprese, ma spesso all’estero. I motivi sono da ricercarsi a volte nel fatto he gli advisor utilizzati per gestire queste operazioni sono quasi sempre esteri e altre volte nella mancanza di un track record importante per gli investimenti condotti in Italia. E’ quindi necessario generare un circolo virtuoso che solleciti lo sviluppo di un interesse concreto a investire nelle imprese italiane.
Qual è attualmente l’interesse per il mercato italiano degli operatori stranieri del private equity?
Gli operatori esteri del private equity vedono il mercato italiano troppo frammentato e quindi costoso da gestire. Inoltre il track record degli operatori presenti è ancora limitato per poter accedere alle risorse di fondi internazionali consistenti. E’ necessario interrompere questo circolo vizioso facendo crescere il settore del finanziamento all’innovazione in Italia e dall’altra parte informando le nostre imprese sulle modalità e sui benefici di questo tipo di percorso e anche su come rendersi appetibili su questo mercato creando gruppi sufficientemente grandi e managerializzati.
Eppure è almeno dal primo governo Monti che il ritornello dei vari esecutivi che si sono succeduti è: renderemo appetibile il mercato italiano agli investitori esteri. Che cosa è andato storto?
Lo Stato dovrebbe avere come obiettivo quello di sviluppare l’ecosistema del finanziamento all’innovazione. Le iniziative legislative attivate dal 2012 in avanti non sono sufficienti se lo Stato, da una parte, non coordina e razionalizza i propri investimenti sul mercato e non crea le condizioni per lo sviluppo dell’ecosistema del finanziamento dall’altra. In Francia, ad esempio, la razionalizzazione degli investimenti statali è stata portata avanti grazie alla creazione della Banca Pubblica di Investimento che ha fatto ordine tra tutte le finanziarie statali locali che in Italia ancora abbiamo. Dall’altra parte è stata fatta una grande opera di moral suasion sulle grandi aziende francesi per essere protagoniste del sistema di sviluppo del Paese attivando un grande processo di corporate venture capital e supporto all’ecosistema. Infine sono state destinate risorse importanti dedicate allo sviluppo del settore. Il percorso francese ha permesso di avere oggi 20 volte gli investimenti di venture capital dell’Italia e 5 volte il numero di operazioni di Private Equity.
Ma non sarebbe forse più efficace concentrasi sullo sviluppo di fondi di private equity italiani, così il risparmio resterebbe in Italia invece di involarsi all’estero?
Certo. Il nostro Paese possiede già tutte le soluzioni alla problema del finanziamento all’innovazione. Il coinvolgimento di attori esteri come advisor, il finanziamento statale di soggetti esteri e gli investimenti all’estero e non in Italia da parte dei fondi istituzionali italiani sono sicuramente parte di questo problema problema. E’ necessario razionalizzare gli interventi e concentrare gli sforzi per creare un ecosistema tutto italiano per il finanziamento all’innovazione. Solo così l’Italia potrà essere davvero competitiva.
L’intervista completa del 24 marzo 2018 di Milano Finanza a Davide Casaleggio.
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